Approfondimenti su alcuni degli argomenti più trattati in Ortopedia e Traumatologia, Chirurgia Protesica e Artroscopica:

Ricostruzione del legamento crociato anteriore con tendini del gracile e semitendinoso e con tendine rotuleo

Pubblicato: Lunedì, 14 Settembre 2020

PROTESI D'ANCA DI RIVESTIMENTO E RISCHIO METALLOSI

Le lesioni del legamento crociato anteriore (L.C.A.) rappresentano un evento traumatico di frequente riscontro, legato alla maggiore diffusione di attività sportive, ed è ampiamente dimostrato che l’intervento di ricostruzione del legamento fornisce ottimi risultati a breve e lungo termine.

Nella maggior parte dei casi, il legamento lesionato viene sostituito con tessuto tendineo autologo, prelevato dal paziente, utilizzando o i tendini del gracile e semitendinoso o il terzo medio del tendine rotuleo.

Ad oggi, la scelta del sostituto ideale rimane controversa. Il trapianto dovrebbe essere in grado di ripristinare non solo l’anatomia e la biomeccanica della struttura lesa, ma avere proprietà biologiche che ne consentano una adeguata integrazione ossea.

Gli studi presenti in Letteratura, non hanno mostrato differenze statisticamente significative tra l’utilizzo dei tendini gracile e semitendinoso e il terzo medio del tendine rotuleo, sebbene sia riportata una minore incidenza di dolore post-operatorio nel primo caso.

Tuttavia la scelta dell’innesto dipende essenzialmente dall’esperienza e dalle esigenze del Chirurgo. La nostra prima scelta ricade sull’utilizzo dei tendini del gracile e semitendinoso duplicati, riservandoci l’utilizzo del tendine rotuleo negli interventi di revisione o in casi selezionati.

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PROTESI D'ANCA DI RIVESTIMENTO E RISCHIO METALLOSI

Pubblicato: Lunedì, 24 Agosto 2020

PROTESI D'ANCA DI RIVESTIMENTO E RISCHIO METALLOSI

L'intervento di protesi di anca ha rivoluzionato, a partire dalla fine degli anni '60, la gestione dei pazienti anziani affetti da coxartrosi con ottimi risultati a lungo termine.

Non a caso l'intervento di protesi d'anca è stato definito in un editoriale pubblicato alcuni anni orsono su Lancet, l'operazione del secolo. Una parte non indifferente di questo successo si deve ai progressi della bioingegneria che ha permesso il continuo sviluppo di questa tecnologia. Ne è derivato, con il passare degli anni, che il range di età dei pazienti si sia progressivamente ampliato includendo da un lato soggetti sempre più giovani con elevate richieste funzionali, dall'altro soggetti anziani, ma ancora attivi e desiderosi di riacquistare una qualità di vita adeguata.

Ad oggi infatti la protesi totale di anca è una delle procedure di maggior successo in tutta la medicina. Ogni anno in Italia si effettuano più di 100.000 interventi di Protesi all'anca e il numero cresce al ritmo del 5% annuo e grazie ai nuovi materiali capaci di resistere efficacemente all'usura, aumenta il numero degli interventi nei giovani: ogni anno 20.000 protesi vengono impiantate nelle persone under 65 e 5.000 in pazienti con meno di 50 anni. Una protesi di anca è costituita tradizionalmente da 2 componenti, una femorale e una acetabolare, che comprendono ciascuna 2 elementi. La componente acetabolare è composta dal cotile, o coppa acetabolare, e da una coppa di diametro inferiore che si inserisce nel cotile (inserto); la componente femorale è costituita da uno stelo, che viene inserito nel canale femorale, e da una testina che si innesta sullo stelo e si articola con l'inserto acetabolare.

Le protesi di anca si distinguono in 3 categorie a seconda della tipologia di fissazione all'interno dell'osso: cementate, non cementate e ibride. Nel primo caso tra il tessuto osseo e la superficie del dispositivo impiantato viene inserito del cemento (polimetilmetacrilato) come materiale riempitivo; nel secondo, il dispositivo viene inserito direttamente a contatto con il tessuto osseo; nel terzo caso solo una delle due componenti (o il cotile o lo stelo) viene cementata. Un'ulteriore distinzione viene fatta in base al tipo materiale che caratterizza le superfici di accoppiamento tra la componente femorale (testina) e la componente acetabolare (inserto).

Le tipologie di accoppiamento attualmente disponibili sono: metallo/polietilene, ceramica/ceramica, ceramica/polietilene, metallo/metallo e, più raramente, metallo/ceramica. Per quanto riguarda le protesi con accoppiamento metallo/metallo (da qui in poi denominate come MoM dall'inglese Metal on Metal), se ne distinguono due tipologie:

1. Le protesi totali (THR dall'inglese Total Hip Replacement), composte da una testa metallica, uno stelo metallico e un acetabolo metallico (monoblocco o con un inserto anche esso in metallo);

2. Le protesi di rivestimento (HRA dall'inglese Hip Resurfacing Arthroplasty) in cui la testa femorale viene rifilata e ricoperta da una calotta metallica, mentre a livello dell'acetabolo viene impiantato un cotile metallico privo di inserto.

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LE LESIONI MENISCALI

Pubblicato: Martedì, 28 Luglio 2020

menisco

I menischi del ginocchio sono due strutture fibro-cartilaginee localizzate tra la superficie articolare del femore e della tibia. Il menisco mediale, o interno, ha una forma a C o a “semiluna” (menisco dal greco μηνίσκος «lunetta»), mentre il menisco laterale, o esterno, ha caratteristicamente una forma più arrotondata ad O. Funzione principale di queste strutture è quella di protezione delle cartilagini articolari, ammortizzando e distribuendo le forze di carico sul ginocchio.

Mostrano una importante capacità ad adattarsi alle diverse sollecitazioni che si manifestano nell’arco di movimento del ginocchio. Tuttavia la loro vulnerabilità è legata in primis alla composizione. Essendo strutture fibrocartilaginee infatti, non godono di un sostegno vascolare adeguato in grado di favorire una riparazione in caso di lesione. Infatti, l’unica porzione dei menischi che riceve nutrimento vascolare è quella più periferica, connessa alla capsula articolare, conosciuta come zona “rossa-rossa” secondo la classificazione di Arnoczky, e solo tale regione può andare incontro a una riparazione spontanea se lesionata.

La causa principale di una lesione meniscale nel soggetto giovane è il trauma distorsivo o talvolta il brusco passaggio da una posizione di ginocchio flesso mentre si è accovacciati, a una posizione di ginocchio esteso. Invece, nel soggetto più anziano, il menisco va incontro a un processo di degenerazione, meniscosi, per disidratazione: in questo caso le lesioni meniscali sono di natura degenerativa e quindi da considerarsi come un aspetto delle alterazioni artrosiche del ginocchio, ove la sintomatologia dolorosa è correlata in buona parte all’usura e alla degenerazione della cartilagine articolare.

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LA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE

Pubblicato: Venerdì, 29 Maggio 2020

Sindrome Tunnel Carpale

La Sindrome del tunnel carpale è una condizione clinica caratterizzata dalla compressione del nervo mediano a livello del carpo. Il tunnel carpale è lo spazio che mette in comunicazione la loggia anteriore dell’avambraccio e la regione palmare. Il pavimento del tunnel è formato dalle ossa del carpo, la parete laterale dal tubercolo dello scafoide e del trapezio, la parete mediale dal pisiforme e dall’uncino dell’uncinato, mentre il legamento trasverso rappresenta il “tetto del tunnel”.

Questa regione anatomica è attraversata dai tendini flessori profondi e superficiali delle quattro dita lunghe e il flessore lungo del pollice, avvolti dalla loro guaina sinoviale, e il nervo mediano. E' la sede più frequente di compressione nervosa a livello dell’arto superiore.

Nella maggior parte dei casi, la Sindrome del Tunnel Carpale non presenta una causa definita, pertanto si parla di forme idiopatiche. Nelle forme secondarie si riconoscono differenti cause, che comportano un aumento del volume del contenuto del tunnel o che ne riducono il volume, come in caso di ipertrofia sinoviale dei tendini flessori, esiti di fratture a carico del radio distale o delle ossa carpali, microtraumi ripetuti come nelle categorie di lavoratori che utilizzano strumenti vibranti, in condizioni infiammatorie quali artrite reumatoide e gotta o per cause metaboliche quali ipotiroidismo, gravidanza, amiloidosi.

Clinicamente la patologia si presenta con una fase irritativa, con sensazione di torpore a carico delle dita innervate dal nervo mediano, maggiormente a livello della regione volare di I, II, III dito e metà radiale del IV. Segue una fase deficitaria, ove si riconosce un danno nelle fibre motorie dell’abduttore breve del pollice (innervate dal nervo mediano) che comporta una ipotrofia dell’eminenza tenar.

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