Protesi d’anca: steli corti per tornare a fare sport

Pubblicato: Martedì, 28 Marzo 2017
Chirurgia Protesi d’anca: steli corti per tornare a fare sport. Specialista in Ortopedia e Traumatologia

Diversi studi in letteratura con follow-up a lungo termine dimostrano i vantaggi degli steli corti. A partire dalla possibilità di ritornare a fare sport. Vale soprattutto per gli atleti esperti, in grado di eseguire correttamente il gesto atletico.

Fino a qualche anno fà la principale indicazione per essere sottoposti a intervento di artroprotesi era il dolore. “Oggi i pazienti decidono di sottoporsi all’intervento anche per migliorare la funzionalità articolare e riprendere uno sport che non riuscivano più a praticare.” - spiega Gabriele Tavolieri, ortopedico, dirigente responsabile della Casa di Cura Pierangeli di Pescara, responsabile dell’area sanitaria del Pescata calcio a 5 seria A e dal 2002 consulente di squadre A1 e A2 di Volley e Basket - “Ma solo il controllo accurato del gesto atletico e una sua esecuzione corretta possono evitare di mettere a rischio l’integrità dell’impianto.” E’ il caso di Nick Skelton, 58 anni, medaglia d’oro nell’equitazione alle Olimpiadi di Rio dopo un intervento di artroprotesi d’anca nel 2011.

D:Dottor Tavolieri, cosa è cambiato nella chirurgia dell’anca con l’introduzione degli steli corti?
R:L’utilizzo dello stelo corso è andato di pari passo con il concetto di tissue sparino surgeli, inteso sia come risparmio osseo che tessutale periarticolare, una scelta particolarmente utile quanto più sono giovani e attivi i pazienti trattati.
Da almeno un decennio, vari studi dimostrano un aumento di pazienti portatori di artroprotesi che praticano attività sportive: ne sono testimonianza gli articoli di Chatterij U del 2004 e di Huck K del 2005. Studi più recenti, inoltre, hanno analizzato le peculiarità di questa nuova popolazione di sportivi, che tornano a fare sport dopo l’artroprotesi: i dati dimostrano che il 98% dei pazienti che praticavano sport prima dell’intervento ritorna a fare sport orientandosi, a differenza di Nick Skelton, su attività a minore impatto (Schmidutz F. 2012 e Banerjee M. 2010).

D:Cambiano le controindicazioni allo sport dopo l’artroplastica?
R:Di per sé la presenza dell’impianto proteico non rappresenta una controindicazione assoluta alla pratica sportiva, anzi, l’attività fisica può avere una positiva influenza sulla protesi e sul paziente. Innanzitutto, tornare a fare attività fisica rappresenta per il paziente un incentivo al recupero funzionale completo, con benefici per la salute a livello metabolico, cardiovascolare, del sistema immunitario, del tono tipico, eccetera.
Ogni attività sportiva comporta variazioni del carico articolare e prevede dei picchi di intensità e frequenze diverse; ovviamente, tutto ciò può comportare sollecitazioni anche notevoli.
Per quanto concerne l’impianto, però, micromovimenti inferiori a 30 micron ne favoriscono addirittura l’osteointegrazione. D’altro canto, c’è da fare i conti con il rischio di traumi e conseguentemente di fratture, lussazioni, mobilizzazioni asettiche e accelerata usura.
Riprendendo il caso di Nick Skelton è importante sottolineare che è uno dei non rari casi di atleti che hanno ripreso la pratica agonistica ad alto livello dopo l’intervento di artroprotesi d’anca. Di fatto uno sport come l’equitazione non è tra le attività considerate “vietate”: infatti sia l’America Association of Hip and Knee Surgeons la inseriscono tra gli sport consentiti solo se l’atleta è esperto. La ragione è da ricercare nel fatto che solo il controllo accurato del gesto atletico e una sua esecuzione corretta possono evitare di mettere a rischio l’integrità dell’impianto. Al contrario, neofiti o sportivi meno esperti possono eseguire delle gestualità controindicate a portatori di protesi."

D:Perchè gli steli corti?
R:Nonostante i brillanti risultati clinici in termini di sopravvivenza/mobilizzazione a medio-lungo termine, gli steli standard hanno dimostrato una distribuzione diafisaria distale del carico con ipertrofia corticale distale e riassorbimento prossimale.
A tal proposito nel 2011 uno studio comparativo tra steli corti vs standard (Kim et al.), basato su analisi dea a 3-4 anni dall’impianto, dimostrò che, a parità di risultati clinici e radiografici, si evidenzia un riassorbimento osseo in zona 7 in entrambi, mentre il riassorbimento in zona 1 solo nei pazienti con protesi a stelo standard. Il riassorbimento osseo prossimale che avviene nello stelo standard non è l’unico motivo che mi porta a utilizzare prevalentemente lo stelo a presa metaepifisaria: con questo tipo di stelo si può ovviare ad un mismatch metafisario-diafisario, come in caso di deformità congenite, esiti post traumatici o come spesso si riscontra in pazienti giovani e attivi, per la presenza di corticali diafisarie spesse e di ampia spongiosa metafisaria.
Numerosi sono gli studi che dimostrano il vantaggio dell’uso degli steli corti: già nel 1993 Jasty, Harris e altri affermavano che una volta raggiunta la fissazione prossimale, la porzione diafisaria dello stelo non era necessaria per la stabilità dell’impianto, seguiti nel 1999 da uno studio che confermava l’irrilevanza dell’impiego di uno stelo di lunghezza oltre al piccolo trocantere, dati confermati dai risultati brillanti a cinque anni di follow-up e pubblicati quest’anno sul Journal of Arthroplasty.
Kim è sicuramente tra i chirurghi con la maggior esperienza riguardo gli steli corti: nel 2014 ha pubblicato una prima revisione della sua casistica con follow-up a lungo termine (15 anni FU), riscontrando un tasso di sopravvivenza dello stelo femorale del 99,4%. Qualche mese fa lo stesso chirurgo ha pubblicato lo studio in assoluto con il più lungo follow-up, ben 12,3 anni per ultra short stems, in cui conferma una fissazione solida nei due gruppi, con stabilità delle componenti.

D:Cosa accade in caso di fratture?
R:Nello sportivo non è certa trascurabile il rischio di fratture periprotesiche o di mobilizzazione asettica, tuttavia uno stelo corto permette la revisione con uno stelo da primo impianto. Per quanto riguarda la tribologia, trattandosi di pazienti giovani e attivi, l’accoppiamento articolare ceramica-ceramica risulta a nostro avviso eccessivamente rigido; la scelta è quindi per accoppiamenti più elastici, soprattutto con i nuovi materiali che permettono di ridurre gli attriti e l’usura assicurando una maggiore longevità delle componenti. La nostra scelta ricade sull’accoppiamento oxinium-Uhmwpe, polietilene ad alto peso molecolare."

Intervista al Dott. Gabriele Tavolieri pubblicato su rivista scientifica e scritto da LIANA ZORZI

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